Se c’è rimedio perché te la prendi?
E se non c’è rimedio perché te la prendi?
Confucio

venerdì 27 agosto 2010

Diario-Il ricovero

Lunghi corridoi che si intersecano tra di loro con i pavimente talmente lucidi che, se fossero specchi rifletterebbero l'immagine capovolta delle persone che vi passano sopra.
Lungo questi corridoi si affacciano tante porte; sono le stanze degli ospiti degenti.
Degenti che tanti anni fa erano persone vitali, giovani, che si divertivano, lavoravano, crescevano i loro figli, persone che avevano vissuto i drammatici tempi della guerra, persone che avevano riso amato, odiato, che avevano sofferto, persone che avevavo vissuto.
Ed ora sono vecchi, ridotti in carrozzella, malati di Parkinson, d'Alzheimer o di entrambe queste tremende malattie cosidette "della vecchiaia".
E' la terza volta che in pochi giorni vengo a trovare in questo ricovero mio zio, fratello di mio padre, è malato anche lui e costretto a vivere i suoi ultimi anni in una carrozzella; un tempo era, come si dice, "un pezzo d'uomo". Alto più di un metro e novanta e robusto senza essere grasso si notava subito, data la sua mole, quando camminava per le strade di Senigallia.
La prima volta che sono andata a salutarlo l'ho trovato, dopo alcune indicazioni delle infermiere in un'enorme stanza quadrata, i cui lati erano "tappezzati", riempiti di donne e uomini tutti in carrozzella; oltre ad essere appoggiate al mure, queste formavano un'altra "cornice umana" più piccola.
Ho esitato ad entrare, ero come paralizzata, poi, mi sono fatta coraggio ed ho incominciato a scrutare da una parte all'altra della stanza per scorgere mio zio.
Mentre stavo ferma sulla soglia ho notato che solo alcuni di loro, 3 o 4 su una quarantina o forse più di degenti, parlavano tra se o con i volontari in camice bianco presenti nella stanza e che li accudivano.
Perlopiù dormicchiavano con la testa reclinata in avanti appoggiata al corpo, altri, come mio zio, fissavano davanti a se, con uno sguardo assente. Guardavano il nulla, aldilà del reale, questa è stata al momento la mia prima sensazione.
Sono rimasta ad osservarli ed intanto pensavo "a cosa loro stessero pensando" con i loro occhi vitrei, dentro un "armadio rotto svuotato per la maggior parte", il loro corpo, un tempo vigoroso e giovane, distrutto e soggiogato dalla malattia.

Dopo 4 giorni sono ritornata, passavo di lì in bicicletta, non potevo non fermarmi.
Volevo fare una breve visita, ma sono rimasta anche ad aiutarlo per il pranzo, poichè non può mangiare da solo. Vicino a lui c'era una signora che appena mi sono avvicinata mi ha sorriso; "Stefano, eh Stefano deve venire. Ha la macchina lui, eh, Stefano è birbaccion, eh deve venire."
E mentre mangiava continuava a sorridermi e parlarmi in questo modo, tanto che mio zio, ogni tanto toccava il mio braccio e scuoteva la testa come per dirmi, cosa che per altro ha fatto con voce fioca: "lasciala stare, en po' tocc!"

Ho parlato con mio zio, l'ho accudita come faccio con i bambini del nido dove lavoro; gli facevo i pezzettini piccoli e lo imboccavo, gli porgevo il bicchiere per bere, stavo malissimo dentro di me ma non l'ho dato a vedere. Sorridevo e gli parlavo ma nello stesso momento mi tornavano alla mente tanti ricordi d'infanzia passati insieme a lui, a mia zia e mio cugino, associati sempre a esperienze felici e spensierate.

Non entro sicuramente in merito al perchè un familiare, un figlio/a, nipote o chicchessia decida di mandare un parente al ricovero, chi sono io per giudicare! Però vedere questi anziani soli e malati provoca dei forti e dolorosi crampi allo stomaco.
Forse pensiamo al nostro futuro e questo....sarebbe davvero terribile se fosse così.

Prima di ripartire da Senigallia sono tornata a trovarlo per un'oretta; l'ho portato fuori in giardino dove ho potuto parlare con 2 degenti che erano li perchè "anziani, vecchi"; mi sono soffermata volentieri a scambiare qualche parola, comprendendo la loro voglia di socializzare anche con persone nuove.

Prima di scendere con l'ascensore ed andare in giardino, una vecchissima signora in carrozzella, quando mi ha visto ha iniziato a dirmi quasi urlando: "Mi aiuti, signora mi aiuti"! Io mi sono avvicinata e lei prendendomi il braccio con la sua mano tremolante mi ha ripetuto: "Mi aiuti signora, mi porti via di qui!"
Un'infermiera si è avvicinata e mi ha detto sorridendo con indulgenza che la vecchietta faceva così con tutte le persone che passavano di li'. Ma io mi sono sentita una merda lo stesso, incapace di poter far qualcosa! Più tardi, uscita dal cancello del ricovero mi sono messa a piangere a dirotto, mi sentivo in colpa per essere andata via ma nello stesso tempo ero contenta di essere uscita fuori, di allontanarmi da una realtà tragica, comune a tanti anziani, ma non per questo meno dolorosa ed ingiusta.






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