Se c’è rimedio perché te la prendi?
E se non c’è rimedio perché te la prendi?
Confucio

domenica 7 marzo 2010

La visione di Leopardi della realtà in cui viveva...simile alla nostra direi!



Una decina di anni fà, durante le vacanze estive a Senigallia, sono andata insieme al mio compagno ed i nostri figli a Recanati, a visitare la casa di Leopardi.
E' stata per me una grande emozione sostare e guardare il paesaggio al colle dell'infinito, sul Monte Tabor, così come passeggiare nella piazza del "Sabato del Villaggio", dove si trova sia la casa natale del Poeta e la dimora anticamente abitata dalla famiglia di Teresa Fattorini che, morta giovanissima fu fonte d'ispirazione per la poesia "A Silvia".
Anche osservare la Torre del "Passero Solitario" nel chiostro accanto alla Chiesa di S. Agostino, che risale al XIII secolo è stato molto suggestivo per me, perchè Leopardi è stato il poeta che ho più amato a scuola e visitare questi luoghi me lo ha avvicinato ancor di più.
Mi ricordo, quando, entrando nella casa di Leopardi, abitata ancora oggi dalla famiglia, i miei figli fino ad allora molto vivaci e ciarlieri, sono rimasti in un deferente silenzio mentre la guida ci mostrava le stanze abitate dal poeta, stanze che trasudavano cultura ma anche austerità.

Parlo di Leopardi perchè entrando nel sito Leopardi.it ho iniziato a leggere per la prima volta "i pensieri" e mentre le righe scorrevano, mi ha sorpreso la visione che lui aveva del suo mondo, lontano dal nostro tempo....ma mica poi tanto.

Pensieri
Prima parte

" Io ho lungamente ricusato di creder vere le cose che dirò qui sotto, perché, oltre che la natura mia era troppo rimota da esse, e che l’animo tende sempre a giudicare gli altri da se medesimo, la mia inclinazione non è stata mai d’odiare gli uomini, ma di amarli. In ultimo l’esperienza quasi violentemente me le ha persuase: e sono certo che quei lettori che si troveranno aver praticato cogli uomini molto e in diversi modi, confesseranno che quello ch’io sono per dire è vero tutti gli altri lo terranno per esagerato, finché l’esperienza, se mai avranno occasione di veramente fare esperienza della società umana, non lo ponga loro dinanzi agli occhi.
Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene, e di vili contro i generosi. Quando due o più birbanti si trovano insieme la prima volta, facilmente e come per segni si conoscono tra loro per quello che sono; e subito si accordano; o se i loro interessi non patiscono questo, certamente provano inclinazione l’uno per l’altro, e si hanno gran rispetto. Se un birbante ha contrattazioni e negozi con altri birbanti, spessissimo accade che si porta con lealtà e che non gl’inganna, se con genti onorate, è impossibile che non manchi loro di fede, e dovunque gli torna comodo, non cerchi di rovinarle; ancorché sieno persone animose, e capaci di vendicarsi, perché ha speranza, come quasi sempre gli riesce, di vincere colle sue frodi la loro bravura. Io ho veduto più volte uomini paurosissimi, trovandosi fra un birbante più pauroso di loro, e una persona da bene piena di coraggio, abbracciare per paura le parti del birbante: anzi questa cosa accade sempre che le genti ordinarie si trovano in occasioni simili: perché le vie dell’uomo coraggioso e da bene sono conosciute e semplici, quelle del ribaldo sono occulte e infinitamente varie. Ora, come ognuno sa, le cose ignoto fanno più paura che le conosciute; e facilmente uno si guarda dalle vendette del generosi, dalle quali la stessa viltà e la paura ti salvano; ma nessuna paura e nessuna viltà è bastante a scamparti dalle persecuzioni segrete, dalle insidie, né dai colpi anche palesi che ti vengono dai nemici vili. Generalmente nella vita quotidiana il vero coraggio è temuto pochissimo; anche perché, essendo scompagnato da ogni impostura, è privo di quell’apparato che rende le cose spaventevoli; e spesso non gli e creduto; e i birbanti sono temuti anche come coraggiosi perché, per virtù d’impostura, molte volte sono tenuti tali.

Rari sono i birbanti poveri: perché, lasciando tutto l’altro, se un uomo da bene cade in povertà, nessuno lo soccorre, e molti se ne rallegrano, ma se un ribaldo diventa povero, tutta la città si solleva per aiutarlo. La ragione si può intendere di leggeri: ed è che naturalmente noi siamo tocchi dalle sventure di chi ci è compagno e consorte, perché pare che sieno altrettante minacce a noi stessi; e volentieri, potendo, vi apprestiamo rimedio, perché il trascurarle pare troppo chiaramente un acconsentire dentro noi medesimi che, nell’occasione, il simile sia fatto a noi."
Continua

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